
In alto da sinistra: Giulio Malegori, Domenico Aiello, Fabrizio Longo, Franz Botré, Bruna e Bobo Cerea, Claudio Marenzi. I vini abbinati al menù: bollicine Ferrari Perlè Rosé, il rosso Monte delle Vigne Nabucco 2007 e il bianco Colterenzio Lafoà 2017.
Esperienze internazionali, visione globale, settori diversi, decenni di mestiere alle spalle, un pensiero di lungo periodo, la consapevolezza del bisogno di una ridefinizione degli obiettivi di fronte a una contaminazione di una comunicazione omologata che provoca effetti distorsivi, favorisce la standardizzazione nel nome della tecnologia e allontana dalla identificazione individuale. Sono alcune delle tematiche che hanno dato vita a un confronto sano e aperto sul tema dell’automobile, senza chiamare in causa talk-show e videoconferenze, piuttosto una tavola imbandita stile Gianni Brera e le serate a cena, ogni settimana, con gli amici del Club del giovedì. Ecco dunque la convivialità e la riservatezza di un ristorante pluristellato come Da Vittorio a Brusaporto (Bergamo), dove il desinare di qualità ha accompagnato i pensieri, le riflessioni e le considerazioni di quattro personaggi, moderati da chi scrive: Fabrizio Longo, direttore Audi Italia; Domenico Aiello, avvocato penalista del Foro di Milano; Claudio Marenzi, presidente di Herno; Giulio Malegori, ceo di Dentsu Aegis Network Emea. Tutti conoscitori e appassionati del prodotto auto che vedono, analizzano, esaminano e scompongono dal prisma delle loro esperienze umane e professionali non sempre legate all’automotive. Identità diverse per comprendere come l’automobile possa arrivare a essere unica. Questo incontro l’ho chiamato «A.i.», Arbiter identità, anche declinabile in Artificial intelligence, volutamente interpretabile come Audi identity. Sì, Audi, marchio che da un decennio si conferma leader tra le Case premium.
Acquisto Audi dal 1992 ma sono sempre stato «germanocentrico» nella scelta dei modelli, non dimenticando gli altri blasonati marchi tedeschi. Guidando una «quattro anelli», però, ho sempre provato sensazioni diverse rispetto alle altre auto, un’affinità più consona al mio modo di essere. A distanza di anni capisco come questa unicità è la cifra stilistica di Audi, la sua identità. Già, l’identità: «Oggi l’elemento distintivo passa attraverso l’interpretazione individuale che ognuno dà all’auto», esordisce Fabrizio Longo.

Fabrizio Longo, Direttore Audi Italia dal 2013, ha alle spalle una lunga carriera nel settore nel settore automotive con incarichi di vertice a livello internazionale in Fiat
«È in atto una profonda mutazione nel mondo della mobilità dove, tra l’altro, il nostro marchio sta facendo investimenti importanti proiettati nella direzione dell’auto di domani. Mi chiedevo se, tra appassionati di auto, la questione con tutte le sue declinazioni la stiamo affrontando nel modo giusto o ci stiamo autolimitando. La domanda è: “Riusciamo a trovare in questo scenario un punto d’incontro tra l’identità del marchio e l’esigenza individuale del cliente?”. Personalmente vivo il rapporto con l’auto alla stregua del mio rifugio. Un luogo dove posso essere me stesso e isolarmi dal resto. Una sorta di bivacco dove se voglio stacco tutto, cosa impossibile da fare nel mondo reale. Diventa metaforicamente il mio luogo del silenzio. Se prima era oggetto di stress perché associata a disagi come il traffico oggi invece l’auto, se gestita in modo opportuno, vive il suo momento di rivincita e diventa il mondo che sogno a occhi chiusi». Ascoltando Fabrizio capisco che è quello che accade anche a me: spesso, per viaggi lunghi, scelgo consapevolmente l’auto proprio perché diventa il mio rifugio nell’arco di tempo che serve per raggiungere la destinazione. Stacco tutto (i sistemi di assistenza) e ti permette di staccare con tutto. Mi fa sentire vivo. Ho un piacere fisico alla guida. «Il tuo è un approccio estremo», ribatte Longo. «A me piace invece pensare di avere un angelo custode e un autista se decido di averli. L’autista è riferito a tutti quei sistemi di guida assistita che semplificano e agevolano la gestione dell’auto. L’angelo custode interviene se dovessi distrarmi. Come il sistema anticollisione o la funzione che ti avverte se stai uscendo dalla linea di carreggiata».

Claudio Marenzi, è presidente di Herno, il marchio di abbigliamento dell’azienda fondata nel 1948 dal padre Giuseppe, che ha saputo proiettare in una dimensione internazionale come brand luxury con una quota dell’export pari al 70%. Dal 2017 è presidente sia di Pitti Immagine sia di Confindustria Moda: nello stesso anno ha ricevuto l’onorificienza di Cavaliere del lavoro da parte del presidente Sergio Mattarella.
«Ne capisci l’importanza quando meno te lo aspetti», rilancia Claudio Marenzi, «Per esempio, una volta mi è capitato di distrarmi al volante per ammirare un tramonto sul Monte Rosa la cui vetta aveva assunto una tonalità di arancione mai vista. Procedevo lentamente, peccato però che non mi sono accorto dell’auto davanti. Non ci sono state conseguenze ma in quell’occasione ho avvertito l’importanza di avere un sistema che ti avvisasse per tempo di un pericolo imminente».
Mi domando allora come è cambiato il modo di comunicare delle case automobilistiche dal momento in cui la tecnologia ha iniziato a conquistare sempre più spazio all’interno dell’auto: «Il processo di trasformazione è iniziato circa cinque anni fa e viaggia velocemente. Oggi il mondo dell’auto è finito alla gogna perché considerato grande inquinatore», continua Longo, «quando, dati alla mano, incide in minima parte sulle questioni legate all’inquinamento (solo il 10% della quantità di CO2 viene emessa dalle vetture) e al climate change; siamo al centro dell’attenzione perché passa l’equazione auto uguale traffico e quindi grande disagio. Ma da tempo il settore auto si è evoluto e ha sovvertito questi falsi miti. Con la tecnologia sta assumendo un ruolo centrale. In 21 anni che lavoro nel settore non ho mai assistito a un cambiamento così radicale come quello che sto vedendo ora».

Avvocato e fondatore dell’Aiello Avvocati Associati (tre sedi a Milano, Roma e Bolzano) dopo un’esperienza pluriennale in qualità di socio di studi legali internazionali tra Milano e Londra, è un noto penalista che si occupa in prevalenza di assistenza e consulenza a grandi aziende e colossi multinazionali in materia economica. Docente universitario in Diritto penale dell’economia, è anche appassionato di auto.
Domenico Aiello rilancia, mentre servono granchio reale, patata schiacciata al prezzemolo, julienne di finocchio, aglio nero fermentato e bisque di granchio: «Se ci si ferma a riflettere e si analizza il saldo di quanto questo comparto investe nella sostenibilità e nell’ambiente, scopri che oggi non c’è settore, a livello industriale, più impegnato su questo fronte. In poche parole il settore automobilistico è diventato un bersaglio facile». Non è così in altri ambiti, come spiega l’a.d. di Herno: «Nel settore che rappresento (tessile, nda) c’è molta confusione perché parlare di sostenibilità e innovazione sta diventando sempre di più un modo di dire dietro il quale c’è poco di tangibile. Nel mio caso gli investimenti in questa direzione li avevo compiuti più di 10 anni fa. Per esempio, abbiamo sviluppato dei tessuti che appartengono alla linea Lamina e che attingono proprio al concetto di un approccio innovativo nell’utilizzo dei materiali. Poi siamo andati oltre riprendendo i tessuti che appartengono alla storia e alla tradizione del marchio la cui lavorazione però fa leva sulle tecnologie di confezionamento più avanzate. Oggi bisogna tornare a parlare del prodotto».
Marenzi conferma ciò che vado predicando da mesi: la tecnologia è fondamentale per un’auto ma se la comunicazione finisce per concentrarsi solo sulla tecnologia si impedisce al consumatore di cogliere il messaggio di qualità. Un consumatore che il mondo delle quattro ruote incrocia in diverse fasce d’età, quindi con esigenze, desideri e disponibilità differenti, e che impone non solo attenzione alla comunicazione ma anche alle strategie di marketing, come spiega Giulio Malegori: «Le riflessioni che stiamo facendo provengono da interlocutori con un’età media intorno ai 50 anni».

Giulio Malegori Ceo regione Emea e membro del Global Exec dopo la presidenza della filiale italiana di Dentsu Aegis Network, gruppo globale di servizi di marketing costruito per la digital economy, è un appassionato e profondo conoscitore di automobili e di vini.
Persone cioè che hanno vissuto una vita nella quale l’auto ha occupato un ruolo centrale perché sinonimo di viaggio, libertà, svago, e ha segnato le tappe più significative anche nel raggiungimento di determinati traguardi. La realtà in cui viviamo ci dice però che gli appassionati di guida fino a 35 anni di età sono una supernicchia. La dimensione del trasporto rimane fondamentale ma con un approccio relegato più all’idea della condivisione che del possesso. Da qui tutte le conseguenze che si determinano e si riverberano nella sharing economy. Questo è il punto», continua Malegori. «Oggi l’auto è vissuta in modo diverso, il problema che sta vivendo il settore sta nel fatto che è cambiata la platea alla quale si rivolge e che ha altri interessi, che la logica seguita negli ultimi 100 anni è stata secondo il concetto di top-down, il modello one-to-many. Non sono un fanatico di questo approccio ma finora è stato così. La risposta sta nell’identità. Ma oggi chi è in grado capirla? La vera domanda è come si può intercettare l’attenzione di un 30enne con un linguaggio che possa coinvolgerlo. Si devono trovare nuove chiavi di lettura». «Un tema che mi appassiona è quello dei millennials o dei digital native», riprende Longo. Troppo facile liquidare il ragionamento dicendo che l’auto non rientra più nella loro sfera d’interessi. Approfondendo, si scopre qualcosa che va nella direzione opposta. I giovani oggi si spostano sempre di più, con un ventaglio di soluzioni prima inimmaginabili: car sharing, BlaBlaCar, alta velocità, compagnie low cost. Ma ancora oggi, e a maggior ragione, il loro uso del mezzo è strumentale alla necessità di affermare la loro libertà individuale. Inoltre deriva anche dall’esigenza di appropriarsi del loro mondo digitale all’interno dell’auto.
L’aspetto interessante è la convergenza tra un 50enne come me e loro che ne hanno 25 nel pensare la stessa cosa pur partendo da posizioni diverse: “L’auto m’interessa perché rappresenta il mio guscio, ma deve essere connessa come la mia camera a casa e poco inquinante perché in linea con un approccio etico all’ambiente”. Alle nuove generazioni interessa l’oggetto auto proprio perché rappresenta oggi come allora uno spazio imprescindibile dove poter vivere appunto quei valori come la libertà individuale, il divertimento, l’idea del viaggio. L’obiettivo dell’industria dell’auto sta nel decodificarli aggiungendo nuovi ingredienti per poter trasmetterli in modo efficace. Non accetto invece il messaggio che in maniera molto demagogica viene fatto passare, ovvero il ruolo negativo svolto oggi dalla tecnologia».

Il dibattito prosegue a tavola così come il menù che vede, tra gli altri, moro antartico candito, spuma di patate affumicate e trippa di baccalà.
«Da sempre il genere umano ha avuto due tipi di visioni: utopica e distopica», interviene Malegori non distratto dal moro antartico candito, spuma di patate affumicate e trippa di baccalà appena portato. «Alla fine abbiamo imparato che i due aspetti si bilanciano. Il problema vero oggi è che c’è un sistema delle nazioni non più in grado di gestire questa dinamica governata invece da alcune multinazionali. Quando sento parlare dei vari G8, G7 e G20 mi rendo sempre più conto che occorre allargare il tavolo coinvolgendo anche grosse multinazionali che esercitano una grande influenza sul destino delle nazioni. Quando sento che 26 persone hanno il 50% della ricchezza del mondo, come si riesce senza fare demagogia a declinare questo sulla popolazione mondiale e sul reale potere di acquisto che hanno? Un ambito nel quale rientrano anche i giovani. Come possono pagare l’affitto, acquistare beni di servizio, comprare un’auto e avere un’autonomia economica in un contesto sociale così complesso?». Aggiunge Aiello: «Non è corretto usare come unico parametro la ricchezza. Si corre il rischio di proiettare una visione della realtà distorta. L’industria deve calibrare la sua offerta sui bisogni reali. E non sulla ricchezza». «Ma come si fa se oggi l’industria delle auto ha un surplus produttivo del 6%?», domanda allora Malegori. «Delle 106 auto prodotte, le sei che avanzano devono trovare un’altra destinazione di utilizzo come, per esempio, il car sharing o il leasing», ribatte Aiello.
«L’industria dell’auto è consapevole di questo», precisa Longo. «Ma anche qui cerchiamo di fare chiarezza: l’auto elettrica, che sembra già un dato acquisito, è in realtà un fenomeno che toccherà la mobilità di domani. Lo dice un marchio tra i più impegnati su questo fronte. È sbagliata l’intensità con cui oggi passa il messaggio dell’elettrico come alternativa immediatamente fruibile. In realtà non è così. Erroneamente le istituzioni demonizzano tecnologie efficienti come quella del diesel senza contare il contenimento delle emissioni che i motori di ultima generazione assicurano. C’è una caccia all’untore. Si adottano misure fiscali per penalizzare e limitare il diesel. In tutto questo l’opinione pubblica ne esce frastornata e confusa». Per Aiello, «una soluzione potrebbe essere quella di tarare il messaggio sulle soluzioni che l’apporto tecnologico garantisce in termini di arricchimento dell’esperienza di guida».
Sull’elettrico, poi, se oggi tutti di colpo lo scegliessimo, avremmo una serie di problemi come l’incapacità di far fronte a una domanda importante di energia elettrica e, per il nostro Paese, constatare la netta insufficienza delle colonnine di ricarica; poi, per le batterie, i problemi relativi all’autonomia di marcia e ai tempi di ricarica. «C’è chi sostiene l’elettrico e chi ritiene che l’avvento di questa tecnologia appiattirà, standardizzandolo, il mondo dell’auto», continua Longo. «Personalmente ritengo che oggi ci sia più libertà di scelta rispetto a prima. Oggi hai di più a patto che sia tu a decidere il tipo di mobilità più idonea per le tue esigenze. Posso scegliere se essere iperconnesso, iperassistito o decidere di rendere complementare la sicurezza e il confort rispetto alla mia libertà. L’intelligenza artificiale non è la tomba della libertà». «Dall’invenzione della ruota a oggi la tecnologia è sempre stata al servizio dell’uomo», interviene Malegori. «Su questo principio non si discute. C’è una data sulla quale concordo ovvero la teoria della singolarità in base alla quale Ray Kurzweil sostiene che nel 2039 la capacità di calcolo della macchina prenderà il sopravvento su quella dell’uomo: l’intelligenza non biologica eguaglierà quella umana. Fino a quel momento saremo in totale controllo della tecnologia». «L’altra grande favola, a proposito di intelligenza artificiale, riguarda tutto quello che accompagna il concetto di guida autonoma», spiega Longo mentre servono i paccheri alla Vittorio. «La tecnologia già esiste ma non c’è l’infrastruttura per accoglierla. Il settore dell’auto è in anticipo rispetto ai tempi in cui viviamo e per Audi la guida autonoma prevedrà sempre la possibilità di scelta da parte dell’uomo. Si creano nuovi margini di libertà per conducente e passeggeri, riducendo il livello di complessità nell’utilizzo dell’automobile e nell’interazione con gli altri utenti della strada. Ma chi guida un’Audi potrà sempre decidere il grado di intervento della tecnologia presente e scegliere tra le sensazioni derivanti dal controllo diretto sulla meccanica e quello rassicurante offerto dalla tecnologia e dall’intelligenza artificiale.».
Interviene Malegori: «Il predominare di una lettura oggettiva su una soggettiva è il tema su cui riflettere. Il livello di complessità che siamo chiamati a gestire oggi non ha precedenti, soprattutto a livello industriale, mentre il livello di comprensione è ai minimi. Questo genera un distacco da parte dell’interlocutore al quale viene a mancare la fiducia verso il prodotto. Occorre resettare il sistema e riallinearlo, così chi vende auto deve rimodulare il linguaggio per toccare le corde di un consumatore oggi diverso. Il web, che doveva portare molta trasparenza, al contrario è stato responsabile di un’opacità diffusa». «Malegori ha ragione», dice Longo. «Nel caso del diesel, per esempio, tra la complessità del tema e la comprensione del tema c’è stato un intervallo che ha prodotto come risultato finale una reazione demagogica condizionata dalla ricerca di un capro espiatorio. L’arrivo dei sistemi predittivi, invece, ha comportato una riduzione a livello globale degli incidenti del 40/45%. Allora tu, amministratore di res publica, dirotta il tuo bonus/malus su quelle auto dotate di questi sistemi di sicurezza anziché limitare il ragionamento sul concetto distorto delle emissioni. Ancora oggi, però, le statistiche dicono che le vittime da incidenti stradali sono 1 milione e 350mila all’anno e la spesa legata a questi incidenti ammonta a 17 miliardi di euro. Demagogia a parte, l’intelligenza artificiale in grado di dare più sicurezza sulle strade non sarebbe un tema su cui far riflettere? Senza contare poi che il processo evolutivo punta dritto anche alle smart city. Basta guardare a quello che succede a Singapore, oggi il Paese più avanzato in tal senso e modello di riferimento».