Editoriale

Lug 13 2022

Quello che state tenendo tra le mani e avete appena iniziato a leggere e sfogliare è il vostro Arbiter di sempre. Nulla di diverso, salvo il peso e il prezzo di copertina. Come vi avevo anticipato nel numero di giugno, ho deciso di rendere la rivista sempre più performante. Cosa volete farci, questo è il mio Dna. Ecco allora come sarà d’ora in poi la nuova formazione del giornale. Tolta la fascetta, di carta, troverete sempre il vostro mondo di pertinenza e riferimento, lo stesso che negli anni vi ha legato ad Arbiter. Il nuovo peso sale a un chilo e quarantadue grammi, minimo, ma conto di aumentarlo ancora, per portare a casa ogni mese, dieci numeri l’anno, il meglio del meglio. Un peso superiore, certo, ma ponderato e analizzato a 360 gradi. Un peso legato all’attenzione e alla tanto sbandierata sostenibilità. La carta è infatti pluricertificata, come le multidecorazioni variopinte delle divise dei generali americani o russi: Pefc, Fsc, Dnv, le voglio tutte. Che non sono altro che una serie di alleanze globali di sistemi di certificazione forestale, organizzazioni internazionali senza scopo di lucro, non governative, impegnate nel promuovere la gestione sostenibile delle foreste attraverso una certificazione indipendente. Un peso in termini di migliaia di copie e di quintali di carta che non manderemo più al macero. A conti fatti vuol dire molti sprechi in meno: da camion e furgoni che vanno avanti e indietro come degli zombi per nulla, al carburante consumato per niente, ai depositi stravuoti, ai costi autostradali e della distribuzione. Una scelta consapevole, insomma. Ma soprattutto un peso dovuto all’ampliamento dei contenuti dettati dai risultati della telemetria effettuata sui lettori negli ultimi sei anni. Un lettore, quello di Arbiter, che ama e pone attenzione su tutto il mondo del su misura artigianale. Quello dei sarti, dei camiciai e dei calzolai. Un uomo che in cima alla piramide pone l’emozione e la qualità di vita che può donargli la cultura, l’arte e la storia, la stessa che percepisce e trae materialmente da un orologio o da un vino. Un uomo che va sempre oltre, l’auto, la barca, il sigaro, i ristoranti e gli hotel, perché è un grande viaggiatore. Ama la vita. Un uomo che per i francesi è un «connaisseur», per gli inglesi «quality expert» e che noi italiani, sin dal I secolo dopo Cristo abbiamo definito arbiter elegantiarum. Va da sé che il riferimento è rivolto a Tito Petronio Nigro, scrittore e politico romano, uomo piacevole e di grande eleganza, famoso, vissuto durante il principato di Nerone e secondo Tacito autore del Satyricon.

Preso atto dei risultati delle ultime tre ricerche in sei anni e presa visione degli argomenti preferiti trattati sulla rivista da parte dei lettori, la domanda con il passare del tempo è apparsa sempre più logica e dovuta: perché fare Arbiter e poi, a parte, ogni tre mesi un giornale di orologi e ogni due mesi un altro giornale che parli di vino? Con il passare del tempo, e dopo lo tsunami del Covid, vedendo il cambiamento dei mercati mondiali e considerando più approfonditamente il perseverare delle richieste e delle esigenze dei lettori, dei clienti e degli inserzionisti in relazione alla riorganizzazione dei settori di riferimento per eventi e consumi, la domanda mi si è riproposta ancor più evidente: ma tutto quello che faccio e sto facendo ha ancora un significato e un senso logico? La risposta che mi sono dato un anno fa è no, così non ha più senso. Il processo dentro di me era stato avviato, analizzato e maturato nel gennaio del 2021, dopo i 45 giorni inchiodato a casa per un Covid pesante. Quarantacinque giorni a casa non li facevo dalla seconda media! In quel lungo periodo ho avuto modo di riflettere, ripensare e progettare una nuova vita. Per Arbiter, per me, per chi vive accanto a me, per i collaboratori, i fornitori, i lettori, gli inserzionisti e per chi verrà dopo di noi. Una sentenza secca e spietata, inappellabile, imprescindibile, per mille e cento problemi, potrei farne un trattato. La verità è che la carta stampata, entro pochi anni, potrà sopravvivere solo e se saprà donare emozione e qualità a chi la compra, la tocca, la sfoglia e la legge. Mentre ragionavo, scrivevo, creavo tabelle, grafici con tanto di ascisse e ordinate, disegni, schizzi d’impaginati, controllavo preventivi, vendite, le rese (effettive) e i costi generali, nella testa i «criceti» continuavano a galoppare imbizzarriti e un vecchio pensiero, che dal 1969 m’insegue, continuava a rimbalzare nella zucca: non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato.

Era il 18 settembre del 1969, il mio primo giorno di lavoro, tipografo apprendista D1, così recitava il libretto di lavoro. Lo conservo ancora con orgoglio come fosse una reliquia. Dentro, tra le pagine, uno strappo di un angolo di pagina di un settimanale (forse Gente) con un articolo post Sessantotto e un box sul pensiero di Albert Einstein: è uno dei miei tanti cimeli e pietre miliari della vita. Del resto, dinnanzi alle difficoltà, ci sono solo tre opzioni da seguire: si può scappare, affrontare a testa alta il problema o farla finita. Nella vita mi sono sempre affidato al coraggio e molte volte alle decisioni cosiddette di «pancia», intesa come forza d’animo dell’ardire. Chi mi conosce e legge da anni sa perfettamente quante volte ho terminato un editoriale scrivendo «Memento Audere Semper», un motto e un’immagine che sento e vivo in ogni cosa che faccio, che abbia fatto e farò nella vita. Nel gesto di quella mano che pone in salvo un diadema d’alloro al di sopra dei flutti c’è tutto il mio mondo. Coraggio, onore e altruismo come metodo e terapia per affrontare le battaglie quotidiane di questo mondo del lavoro. Ecco perché da questo numero di luglio Kairós e Spirito diVino o MMM, vale a dire Mente Mano Materia, saranno sempre uniti come supplementi editoriali di Arbiter. Ognuno con la propria copertina, la propria grafica e la personalità di sempre, ma non usciranno più soli e indipendenti in edicola sei o quattro volte all’anno, saranno tutti i dieci numeri legati ad Arbiter, andranno paralleli nelle case degli arbiter elegantiarum d’Italia e presto, spero, nel mondo.

Al mio fianco, a partire da questo mese, Federico Silvestri, direttore generale di 24Ore System, con Danilo Ferrario, Daniele Guazzi, Serena Chioda e tutto il loro gruppo di professionisti. Una concessionaria per me nuova, ma storicamente riconosciuta, internazionale, di alto profilo, di valore, di sicuro più allineata e in target con i nostri prodotti di tante altre. Questo è il progetto e il processo naturale dei miei prodotti editoriali. Non esistono al mondo giornali che parlino ai clienti dei sarti e a tutti i maestri del su misura. Esistono bene o male, belli o brutti, tanti giornali di moda, fashion, dei trend della vita, del famoso style, ma non esistono giornali per l’uomo, su misura. Ecco quindi l’importanza di portare il verbo italiano di Arbiter, della vita su misura, dei prodotti artigianali fatti a mano in Italia e nel mondo. In Italia continueremo a ricercare una carta sempre più bella, con una stampa sempre più curata, sofisticata, di alta qualità, mentre nella galassia di Internet Arbiter si presenterà in lingua inglese con i giornali sfogliabili digitalmente. Ma attenzione, il peso lo porteranno anche tante donne. Pensate, le lettrici che amano e seguono fedelmente Arbiter sono già il 7,8%. Lo guardano, lo leggono, lo studiano. Molte mi esortano e chiedono un Arbiter declinato al femminile. Difficile, perché non si può essere tuttologi. E in un momento già segnato da questi cambiamenti, l’impegno alla tolda di comando impone minori distrazioni possibili. Difficile, ma non impossibile, aggiungo. Come promesso a molte lettrici, cercherò intanto di essere più attento al gentil sesso. Tratterò e parlerò saltuariamente di sartorie e di sarte, di eleganza femminile al maschile e viceversa. Mi piace il confronto diretto. Parliamone.

Partiamo quindi dalla storia di copertina, la marchesa Luisa Casati Stampa. Una donna come musa. Ascoltarla è viaggiare: Venezia, Capri, Parigi. Incrociarla significa scoprire cosa profuma di femmina. I grandi occhi orlati di kajal e la chioma accesa dall’henné. I vestiti creati per assecondare la mente prima del corpo. Musa di scrittori, pittori, scultori e fotografi. Ha interpretato la sua esistenza come un’opera d’arte vivente, spingendosi sempre fino al limite, senza mai travalicarlo. Gabriele d’Annunzio le scriveva: «A Corè, distruttrice della mediocrità». Così come belle sono le riflessioni dell’artista che ha interpretato l’opera di copertina, Nadiaanna Crosignani. Ha visto nella marchesa Luisa Casati Stampa la forza e la spregiudicatezza di voler vivere secondo le proprie convinzioni, rendendo la sua vita un’opera d’arte attuale e senza tempo. Ha trovato nel suo lungo collo un segno di nobiltà, di intenti e la volontà di prendersi la vita e di rivendicare il meglio che essa ha da offrire, senza compromessi. Così come senza tanti compromessi vive e veste la giovane Beatrice Gigli, una Donna che sa coniugare l’estetica maschile alla propria femminilità, con pertinenza, grazie e sensualità. Giacca, cravatta, completi e camicie su misura, francesine brogue, ma anche tubini e tacchi a sorreggere tanta cultura ed educazione.

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