Il progetto Arbiter comincia finalmente a plasmarsi, ho aspettato undici anni per arrivare a questo punto, a questo numero, quello che tra breve sfoglierete e leggerete. Un percorso lungo, intenso, adrenalinico, difficile, spesso faticoso, rischioso, a volte esaltante, altre demoralizzante. Dal 2008 vivo come l’Orlando Furioso, tutte le mattine esco dalla tenda della mia tribù, armato di tenacia, coraggio e Durlindana per affrontare la mia Roncisvalle quotidiana. Tutti i giorni una battaglia per difendere le mie idee e i giornali dalle miriadi di saracini; una manica di cialtroni, ladri, incapaci, persone brutte, scorrette, senza dignità, senza onore. In un Paese senza amor patrio, senza cultura storica, in una Nazione cresciuta e istruita dal pensiero cattocomunista, gestita politicamente da un gregge di incompetenti, in un mondo professionale alla frutta come quello dove da 40 anni opero: l’editoria. Un mondo dove cane non mangia cane, dove per decenni manager ed editori hanno vissuto come struzzi e cicale, dove molti altri hanno galleggiato solo grazie all’assistenzialismo politico «amico». Per decenni più che fare gli imprenditori hanno fatto i prenditori. Sono molti i giornali che hanno chiuso, molti i colleghi definitivamente lasciati casa o in redazione con stipendi dimezzati. Non ascoltate le voci delle sirene, Internet non c’entra proprio nulla con questo tsunami, anzi, semmai era solo una grande opportunità da sfruttare. Era tutto prevedibile ed evitabile. Una vergogna! In questi anni di saracini ne ho sconfitti tanti, per contro di dardi e colpi di scimitarra ne ho presi tantissimi, anche alla schiena, sono molte le cicatrici che porto dentro e fuori di me, ma l’olifante non l’ho mai suonato, e mai lo suonerò!
Anni entusiasmanti, sempre in attacco in modo semplice e chiaro, in modo realistico e secondo natura, seguendo i miei ideali ma distinguendo sempre la differenza tra il cielo e la terra, sempre alla ricerca della formula che unisse il bello con i valori, la storia con la contemporaneità, l’eleganza con il verbo essere, inseguendo per tutta l’Italia il sentiero dei Maestri del Su Misura. Sarti, camiciai, calzolai e cravattifici meticolosamente cercati con la lanterna nel buio culturale lasciato dall’esplosione consumistica, quantitativa e massificata della nitroglicerina con il marchio «moda». Anni alla ricerca di una tribù e della mappatura di sentiero per chi concepisce la vita elegante, dentro, fuori e attorno a sé. Concetto che passa e trovi nelle tre M: mente, mano e materia. Che viene plasmato dalla conoscenza, dal sapere e dal saper progettare prodotti unici, partendo dalla cultura, dagli studi, dal credo, dalla competenza, impregnati dei valori etici ed esperienziali, gli stessi che creano e determinano l’estetica del prodotto stesso. È quello che volevo e cercavo, è il famoso fattore Q/E. Un vero e proprio punzone che identifica e certifica la Qualità e l’Emozione che un prodotto-opera ti dona, vidimato dal notaio Petronio, l’Arbiter Elegantiarum dell’Impero Romano.
Vedevo Milano come un’unità di misura con cui confrontarsi in Italia e nel mondo. Una città che sentivo mia, proiettata nel futuro, in una società mondiale sempre più globalizzata e omologata. Volevo che la storia e la cultura espresse dalla mia città e dalla mia Patria fossero le linee guida per creare il sentiero. Volevo cercare in esse i superstiti di coloro che amano e intendono la vita come me, invitandoli sotto la tenda della tribù di Arbiter. Uomini che non indossassero uno scafandro taglia unica. Uno scafandro fiction, dove tutto è già predisposto e omologato per persone che la pensano solo così, che vestono solo in quel modo, che vivono la quotidianità in una fiction, appunto. Persone che seguono come tante sardine i luoghi e gli argomenti comuni, gli influencer, le mode, i trend, gli stilisti. Tutti che credono di essere dei gran fighi, diversi e unici, ma che alla fine non sono altro che tutti uguali, fotocopie di loro stessi, della loro vita. Perennemente aggrappati ai loro iPhone, senza i quali morirebbero di noia e di depressione acuta. Persone che ormai hanno messo tutto in discesa, perché l’ordine di scuderia è non fare fatica! Tutti i giorni non si fanno la barba, non si lavano né asciugano i capelli, tanto sono rasati come palle da biliardo e tifano per i barbudos. Vuoi mettere la praticità! Non si vestono, si abbigliano come tanti scappati di casa nella notte. Niente camicia, di cravatta non se ne parla nemmeno. Pantalone? Per l’amor di Dio, vade retro Satana! Vuoi mettere una bella tuta con la mutanda da piede che fa capolino da belle sneaker di plastica colorata? Di scarpe vere, quelle di cuoio, di lucidi e forme manco a parlarne, idem per quanto concerne i tessuti, le grammature, fogge, tagli, meglio non dire nulla… In quanto al cibo, beh, lasciamo perdere, il loro frigo è un deserto dei Tartari e l’ascensore è sempre occupato dai fattorini ciclisti del Deliveroo & Co… per rifornire famiglie intere di svogliati e senza cultura del cibo e del cucinare. Abbiamo sminuito e impoltrito persino la moto, inventando scooter triciclo per incapaci, che possono così scorrazzare per la città scimmiottando il Dottor Rossi senza il rischio di cadere. Persino i jeans li comprano finti vissuti, con cicatrici finte, di una vita fittizia.
Ecco, dal 2009 avevo intuito quello che stava accadendo nella società, nel mio mondo professionale e in quello maschile, e quello che non dovevo fare nel giornale, anche perché va totalmente contro la mia cultura e ideologia. In più mi accorgevo che nelle edicole (allora erano 18mila in più!) arrivavano Uomini orfani di un periodico maschio, che parlasse di contenuti vicini a loro, ai loro interessi, alle loro passioni, per veri uomini. Cercavano qualcosa da leggere, che non trovavano o, se lo trovavano, non erano appagati dagli argomenti trattati, poiché alla fine, più o meno, meglio o peggio, erano gli stessi argomenti dettati dagli uffici stampa, dalla pubblicità, delle varie aziende investitrici. In quei periodici tutto passava (e passa ancora) ed entrava senza cancelli, senza un setaccio, una identificazione, tanti target messi insieme e mixati, dall’alto al basso, dal medio al basso, su e giù, giù e su, tanti giornali come yo-yo. Ogni volta che giri pagina lo yo-yo continua ad andare su e giù. Senza anima, ma con una mira ben precisa: fare cassa. Risultato, giornali tutti uguali, che parlano delle stesse cose, degli stessi personaggi, degli stessi indumenti, pagine e pagine riempite con le foto (e i testi) delle belle cartelle stampa. Se alla fine analizzi e confronti i prodotti, non sono altro che fotocopie delle fotocopie. Sfogliando e leggendo trovi foto che hanno pubblicato tutti e testi arrangiati dalla ragazzeria (sfruttata) usa e getta. Poca reputazione e nessuna credibilità. Esattamente come oggi avviene nel mondo dorato di Internet, dove il 70% delle notizie che girano nei canali d’informazione sono le stesse, fotocopie delle fotocopie.
Per questo, nel 2009, decisi di seguire il mio sentiero. Ricercai e presi Arbiter. Come prima operazione lo trasformai in un allegato, semestrale, di Monsieur: era il 2011. Poi per quattro anni ho studiato attentamente la mappa del sentiero sino al 2015, quando diedi vita al progetto: era aprile, quando uscì il primo numero di Arbiter. Ho ridato all’amico François-Jean Daehn il suo logo Monsieur, dalla cui costola ho creato il giornale. Ma era solo un punto nello spazio, l’idea maturata nei quattro anni era ridar vita e riprendere ciò che ci apparteneva e che aveva creato Arbiter nel 1935. Obiettivo: ricordare al mondo chi eravamo e come saremmo potuti tornare a essere. In che modo? Semplice, dando voce e vita, almeno sulla carta, agli artigiani e ai maestri d’arte di questo Paese. Contemporaneamente con Franco Cologni creammo ed editammo Mestieri d’Arte, realizzata per cercare e riproporre le bellezze degli oggetti plasmati dal saper fare italiano. Una testata parallela ad Arbiter per individuare e localizzare le mappa e il sentiero dei maestri artigiani. Uomini e donne che attraverso le tre M, mente mano e materia, creano vere e proprie opere. Dunque Arbiter, ieri come oggi, è rivolto a chi lavora con passione alla creazione di quei veri capolavori d’arte applicata che sono gli abiti; è dedicato ai sarti, veri artisti-artigiani che tramandano i segreti di un mestiere antico. Arbiter parla di e con i produttori di tessuti, di camicie, cravatte, scarpe e accessori. Arbiter racconta l’eccellenza italiana del fatto a mano e su misura. Ieri come oggi raccoglie il testimone dei valori e della cultura che hanno scritto la nostra storia, testimoni di quella grande bellezza intrinseca del manufatto di fronte alla quale l’uomo ancora ama stupirsi. Arbiter, che da 80 anni racconta di modi e non di mode, ancora una volta intende offrire ai sarti un momento di visibilità, incontro e confronto, accendere i riflettori su questo tesoro che all’estero è conosciuto e riconosciuto meglio che in patria.
Così, dopo 50 anni torna, ripartendo dalla città di Milano, il Trofeo Arbiter nella sua versione originale, che vede sfilare i sarti e premiare il migliore, il maestro che si è distinto con le sue creazioni: fa parte del progetto Milano Su Misura, due giorni (il 3 e 4 aprile 2020) alla scoperta dell’eccellenza italiana del fatto a mano. La sartoria resta il centro focale dell’appuntamento, ma al suo fianco sarà offerto spazio ad altre realtà del made in Italy di alta qualità, dalle camicie alle scarpe, dai tessuti alle cravatte, all’intimo, alla pelletteria. Tali eccellenze saranno esposte lungo il Chilometro Giallo, un percorso fuori dal Quadrilatero della moda che si snoda nel nuovo sentiero della città, dall’Hotel Principe di Savoia, quartier generale dell’evento, dove si svolgeranno la cena conclusiva di gala e la premiazione, a piazza Gae Aulenti. Congressi e convegni daranno voce ai protagonisti di Milano Su Misura, facendo chiarezza sul mondo della sartoria e toccando temi di grande attualità, come la sostenibilità ambientale e la «buona banca» per le imprese artigiane. L’obiettivo della due giorni milanese è quello di riunire gli artigiani d’Italia nello stesso luogo e per un certo tempo, affinché si percepisca tutta la rilevanza sociale e creativa del settore e premiare il genio, l’abilità e le virtù che fanno della sartoria un laboratorio dove si costruiscono uomini e non solo abiti. A credere nel progetto Milano Su Misura sono Dorchester Collection, Ing. Loro Piana & C., la Volvo, lo chef stellato Andrea Berton e molti altri che sono pronti a seguirci in questa impresa. Uniti nel dimostrare l’esistenza di un gusto italiano le cui radici sono un punto di forza ineguagliabile e sole garantiscono un futuro a questo Paese. Certi dell’importanza dei valori del passato nella contemporaneità per continuare a scrivere la storia dell’eccellenza del vero made in Italy. Di cui Arbiter è il cavaliere.