Maggio 2016

Mag 01 2016

Nella vita le cose semplici, come ben sappiamo, sono quelle più difficili da realizzare. Questa regola vale per e in tutto. Se si vuole capire il presente, non si può fare a meno di conoscere il passato. Banalità? Per nulla, sono dati di fatto, perché i problemi irrisolti, tralasciati, abbandonati e che non sono stati affrontati nei secoli dalla storia, prima o poi inevitabilmente si ripresentano. Purtroppo, e per vari motivi, più drammatici di quanto non lo fossero nel passato. Se poi si aggiungono guerre, fame, dittature, cambiamenti climatici, si può capire il perché della grande fuga che quotidianamente alimenta l’invasione dei migranti. Stiamo attraversando un momento storico, epocale, drammatico, che altera l’equilibrio e la geopolitica di una Europa già precaria e che mette in crisi il rapporto tra gli Stati e l’equilibrio internazionale.

Senza dimenticare i giochi sporchi e le scorrettezze, politiche, militari, finanziarie, perpetrate negli ultimi 30 anni dai principali Paesi che ruotano attorno al G8. E senza dimenticare il problema che si chiama Daesh/Isis: l’attacco di Parigi, l’aereo russo esploso dopo il decollo da Sharm el Sheikh (di cui nessuno parla mai…), gli attentati di Bruxelles. Fatti che testimoniano come sia in corso un attacco vero e proprio all’Europa. Detto questo, a lasciarmi basito o quantomeno con tanti dubbi sono l’impotenza e l’incapacità di reagire o di proporre alternative e soluzioni valide a questa situazione da parte delle nazioni che appartengono all’Unione Europea. Assisto a un atteggiamento qualunquistico, egoistico e ignorante che parte dai governi e arriva sino alle masse, all’opinione pubblica, un’impotenza, un tacito assenso che sta facendo riprecipitare Vecchio continente in quell’atmosfera che si respirava all’indomani del 1918… e del 1945.

Ora, quando sento parlare in televisione certi giornalisti, certi politici, che buttano in pasto alla gente il dramma dei migranti e della loro grande fuga dal continente africano, con tanta superficialità e aggressività, mi accorgo che molti la storia l’hanno letta (senza impararla) solo sui libri di scuola. La maggior parte di costoro affronta il tema con le armi della diplomazia: sono quel genere che ormai da anni definisco i «buonisti», quelli che stanno solitamente con due piedi in 24 scarpe, che appena interpellati si appellano alla par condicio, che non sanno vivere al di fuori del politically correct. Poi ci sono quelli che invocano un intervento armato su vasta scala, che spazzi via gli jihadisti dal mondo e, già che ci sono, vorrebbero pure affondare i barconi che mettono la prua verso nord. Sono i tifosi del muro, coloro che vorrebbero cominciare a erigere barriere di contenimento magari elettrificate; questa è la categoria dei «cattivi».

Sia gli uni sia gli altri hanno idee sbagliate, fondate su presupposti inesistenti, entrambi ignorano la storia e i legami internazionali su cui si rapportano le diverse comunità. Ma com’è possibile che sui 28 Stati europei l’unica proposta costruttiva sia stata fatta da Matteo Renzi? E che l’unica nazione che ha ospitato più migranti sia la Germania della tanto contestata signora Merkel? E tutti quei ricchi Paesi d’Oltralpe che per secoli e anni hanno «sfruttato» il continente africano con le colonie, che cosa fanno? Nulla? Non si sentono in dovere da dare dopo aver tanto preso? Logici e coerenti gli appelli del Papa all’Europa spronandola alla solidarietà, quella vera, fatta in modo intelligente, che porta all’integrazione, magari anche attraverso gesti anche eclatanti come il portare con sé tre famiglie di profughi dall’isola greca di Lesbo. Ma credo che, oltre agli appelli e ai gesti personali, molto possa fare anche il suo Stato, il Vaticano. Oppure no?

Da una grande fuga, ormai un esodo che racconta la storia passata e il dramma presente di un continente, a un’altra grande fuga, che ha distrutto l’Italia e disgregato il suo popolo. Mi riferisco a quella messa in atto, clandestinamente, alle 05.10 del 9 settembre 1943 da Sua Eccellenza Vittorio Emanuele III Re d’Italia e da quel gran uomo che era il Capo del Governo e Primo Ministro, sua Eccellenza il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. In uno dei momenti più drammatici della storia del nostro Paese, se ne andarono con tutta la corte senza lasciare alcuna disposizione ai ministri, ai comandi militari, senza dire nulla a nessuno. Altro che storie per voler screditare la monarchia: è stato un atto di viltà e codardia, inappellabile. Bisognava andare sino in fondo, come hanno fatto Germania e Giappone, che avevano perso comunque la guerra, ma non l’onore e la dignità! Sarà per questo fatto e per altri avvenuti un secolo prima che non ho mai avuto molta stima e simpatia per i Savoia. Beh, non proprio per tutta la casata: le eccezioni ci sono. Due esempi su tutti. Il più recente è Amedeo di Savoia Duca d’Aosta e Viceré di Etiopia. Settantacinque anni fa, esattamente in questo stesso periodo, tra il 17 aprile e il 17 maggio del 1941, al comando di 7mila uomini contro 39mila inglesi, resistette all’assedio dell’Amba Alagi.

Pochi giorni dopo ricevette gli onori militari dagli soldati del generale inglese Cunningham. L’altro rappresentante della casata per cui conservo la mia stima è il personaggio a cui ho dedicato la copertina di questo numero: Eugenio di Savoia. Uomo d’armi, fine politico e grande mecenate, vissuto tra il 1663 e il 1736 in Austria e fedelmente al servizio della corona imperiale Asburgica sul campo e tra le cancellerie europee di allora, durante la sua vita ebbe onori pari a quelli dell’imperatore, e attraverso le sue campagne militari sul fronte balcanico (l’assedio di Vienna, la battaglia di Zenta, la presa di Belgrado…) a metà del ’700 tracciò una linea netta tra il cristianesimo e l’Islam. Indicando quale avrebbe dovuto essere l’identità forte di un continente allora frammentato in decine di nazioni in lotta tra loro. Una visione profetica, ma rimasta inascoltata a quanto pare. Trecento anni dopo l’Europa è nuovamente di fronte allo stesso problema, allo stesso scontro tra civiltà diverse, a una nuova invasione. E lo affronta ancora, purtroppo, allo stesso modo: divisa, litigiosa, facendo prevalere l’egoismo all’intelligenza e alla lucidità. Allora fu un condottiero «italiano» a prendere in pugno la situazione. Oggi chi si prende la responsabilità di questo scettro?

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