Più passano gli anni e sempre più mi allontano dalla Moda. Parlo di quella maschile, naturalmente.
Basta osservare, leggere e sentire la cronaca delle opulente sfilate o fermarsi dinnanzi alle lussuose vetrine del centro per capire che del mondo maschio è rimasto ben poco. Notavo in questi giorni il Circo mondiale degli «Uomini» che inseguono una dopo l’altra le sfilate Donna (sempre più belle!) per le vie del centro di Milano: imbarazzante, sceneggiate da baracconi. Onestamente, in quei negozi non mi viene voglia di entrare a comprare un bel niente, perché niente di ciò che vedo mi appartiene. Quando lo faccio è solo per dovere professionale, per conoscere, sapere. Entro, tocco e con cura palpo i tessuti e chiedo informazioni. La maggior parte dei commessi sono barbudos efebi che mi guardano come dei tonni lessi, come se fossi un marziano, con aria distaccata e di sufficienza iniziano a gesticolare e raccontarmi un sacco di storie che non mi interessano. Ecco allora partire la domanda secca e diretta: «Scusi, le ho solo chiesto se è di cotone misto seta…». Attimo di panico (loro). Cominciano a leggere tutte le etichette applicate sul capo: «Mah, allora, vediamo… non si legge… forse è troppo piccolo…». Sì, buonanotte, capisco che è gente impreparata, che nulla sa e nulla ha da dire. Questi non impareranno più a nuotare! Chiedo poi i costi per valutarne il rapporto tra prezzo e qualità, ne prendo atto ed esco. Per fortuna ci sono ancora vetrine e brand (non più di 20) che mi invitano a entrare, commessi preparati che reggono le argomentazioni e che forniscono indicazioni utili all’acquisto. Spesso mi domando: ma a chi interessa veramente la moda? Che gratificazione trova l’uomo in questa? Sono ormai tanti anni che osservo il fenomeno. La maggior parte sono persone che non chiedono. Vedono quel capo, è wow o super! Lo vogliono, lo cercano e lo comprano. Alla fine, del capo, di come è fatto, dove è stato fatto e con che materiale è stato realizzato interessa poco o nulla, quello che conta è che sia firmato dallo stilista Tizio, Caio o Sempronio. Sono ormai molte le case di moda in cui la firma e la fama dello stilista hanno superato quelle del brand per cui disegna. Spesso stravolgendo e sconfessando il Dna storico e culturale dell’azienda stessa. Piaccia o non piaccia, sono loro i veri padroni delle Maison. In questi casi, applico la mia prima legge di vita: vivi e lascia vivere. Contenti loro… Poi, per fortuna, ci sono le eccezioni che confermano le regole, uno su tutti: Giorgio Armani.
Una moda pensata e realizzata da stilisti e aziende della confezione che vivono lontano dalla realtà dell’uomo Arbiter. Un uomo che dentro di sé ha ben definito il suo stile e la sua eleganza, consoni al suo modo di essere e di vivere. Scanditi con chiarezza in ogni momento della giornata e della settimana. Da quando si alza al mattino a quando lavora, da quando pratica sport a quando partecipa a eventi o cerimonie. Senza alcun problema né difficoltà, sarà sempre pertinente alla situazione, al suo essere, non tradirà mai i valori e il suo sapere. Gli abiti li sceglierà con il suo sarto, partendo dal primo fondamentale punto: il tessuto. Un grande vocabolario della cultura e dell’immaginazione maschile, da secoli fonte d’ispirazione per i maestri dell’ago e del filo di tutto il mondo. Questa è l’immensa differenza tra la moda e i modi di vestire, tra l’essere e l’apparire. Lo potremo vedere, provare e toccare con mano nei giorni del nostro Milano Su Misura. Due giorni per fare luce sullo stile e il gusto del vestire italiano. Due giorni appassionanti in cui, nel corso del Trofeo Arbiter, potremo misurare la maestria di oltre 30 sarti provenienti da tutta Italia. Ma andremo oltre: gli amanti del bello e del fatto a mano su misura potranno conoscere e apprezzare le opere degli artigiani che negli anni abbiamo conosciuto e raccontato su Arbiter. Cinquanta maestri del fare e del saper fare italico uniti per la prima volta lungo il Chilometro Giallo, uno accanto all’altro: calzolai, camiciai, creatori di cravatte, borse, tutto fatto su misura, a mano, in Italia. Nulla di nuovo per Arbiter, che lo ha già pensato, creato e realizzato nel 1952, molto prima dell’avvento della Moda. È ormai tempo di dare il giusto peso alle cose, alle situazioni, recuperando il senso della vita e i valori del passato nella contemporaneità.
Ecco perché la copertina Ulisse è. Osservando l’opera Odìsseo realizzata da Manuel Grosso, il mio primo pensiero è stato quello che si fosse ispirato a Bekim Fehmiu, l’Ulisse dell’Odissea diretta nel ’68 da Franco Rossi, dove Penelope veniva interpretata dall’intrigante Irene Papas. Un’edizione bellissima, che ricorderò per tutta la vita, indimenticabile e memorabili le narrazioni del poeta Giuseppe Ungaretti. Chi le ha sentite non le scorderà mai! Il secondo pensiero, invece, è che si fosse ispirato a un giovane Massimo Cacciari. Una volta arrivato il testo scritto dall’artista stesso, ho però capito che era tutto più semplice: si trattava dell’autoritratto. È un Ulisse nostalgico, moderno, che vive aggrovigliato nei rapporti e nelle relazioni, tra nemici e tante muse, combattuto tra il destino e la guerra che lo allontanano sempre più da casa. È un uomo che non si arrende mai, che sa soffrire, che non si fa ammaliare, costantemente alla ricerca della strada che lo riporti a Itaca, che sbaglia rotta ma sa rimettersi in gioco e riprendere con coraggio la navigazione, perché ha sete di conoscere e di sapere, perché vuole esplorare, perché vuole andare oltre, perché vuole vivere senza mai indietreggiare. È l’uomo nuovo, per questi tempi: determinato, tenace, armato di astuzia e di curiosità, che sa usare tutti i mezzi per giungere a destinazione, anche quelli «fraudolenti», ma mai per interessi personali o per affermare se stesso, e se lo fa è per salvaguardare le esigenze della sua discendenza, della sua identità e quella della sua Patria. Ulisse è: sì, è un passo avanti e un passo oltre.
