Tra i maschi, oggi, non ci sono più cavalieri. O meglio sì, ci sono, ma molti meno di un tempo. È altrettanto vero, però, che esistono anche meno, molte meno principesse. In questa società, ormai bacata, di principesse da salvare dai draghi non ce ne sono più. A molte non importa proprio nulla di essere salvate, anzi. Altre sanno difendersi benissimo da sole. Altre ancora ormai sono abituate da anni a salvare interi reggimenti di ex cavalieri disarcionati. Ormai, sono rimasti solo i draghi. Spesso quando si parla di cavalleria mi accorgo che nella testa di tanti uomini, ma anche di molte donne, c’è una gran bella confusione. Per cui un baciamano o l’aprire la porta di una automobile a una signora sono gesti recepiti dal senso comune come azioni di cavalleresca galanteria. Modi di fare che vengono fraintesi con la cortesia, oppure con quell’intruglio di regole e moine che profumano di cipria e borotalco, di quel buonismo borghese che chiamano bon ton. Questo vale altresì per i tanti «gentiluomini» che ostentano ed esibiscono una croce nei vari salotti o ricevimenti; basta parlare con loro tre minuti per rendersi conto che la maggior parte di costoro non sanno, anzi ignorano completamente il senso e i valori della cavalleria. Fermiamoci un secondo: la cavalleria non c’entra con tutto questo, o meglio questa è solo una piccolissima parte dell’essere cavalieri.
La cavalleria nasce da valori che si basano sull’elevare, perfezionare e forgiare lo spirito etico dell’uomo, prima ancora che i suoi singoli gesti o atteggiamenti. Perché esserlo è un’arte. Nasce dal profondo dell’anima, sin da quando si iniziano a fare i primi passi. Un’arte che non puoi imparare o studiare, ti deve appartenere. Vuol dire avere il coraggio di sfidare in duello tutti, tutto e sempre, per sconfiggere le asperità della vita, pronti a estrarre la spada per difendere quei principi eterni che danno all’uomo dignità e rispetto. Giorno dopo giorno è possibile riscoprire con immenso piacere e fierezza quei valori antichi della cavalleria. Gli stessi che ti permettono di galoppare «a un metro e mezzo dalla polvere», proprio come amavano ripetere gli ufficiali della scuola di cavalleria di Pinerolo.
Azioni che creano e diffondono la pertinenza e l’onore di essere. Per formare uomini che sappiano affrontare senza affanno tutte le discipline dell’arte del saper vivere e godere dei piaceri maschili. Ma i piaceri attirano tutti, i profanatori, gli sciocchi, i cialtroni e le zecche. Ecco perché servono e occorrono sempre più guardiani, armati, pronti a combattere contro i draghi che quotidianamente ci assediano. Quel che conta è che ogni qual volta ti senti minacciato dall’approssimazione, dalla cancellazione delle differenze, le stesse che inevitabilmente ti spingeranno alla corruzione e alla falsità del gusto e dell’anima, dovrai affrontare la sfida a viso aperto. I cavalieri sono uomini abituati ad affrontare la solitudine, a saper rinunciare per restare fedeli e coerenti con se stessi; non si adegueranno mai alla superficialità, alle semplificazioni, alle banalità che spingono verso il basso le scelte di vita, appiattendola, ingannandola, camuffando la praticità con la sciatteria, la prevaricazione con la prevenzione. Uomini che si rifiutano di bere il vino, ma anche l’acqua, in un bicchiere di plastica anziché di vetro, o di dare del tu al posto del Lei, che non chiameranno mai cucchiaino un orrido bastoncino di plastica, usato per mescere il caffè. Sempre pronto a protestare in un ristorante o in un hotel per un servizio indegno e non all’altezza del promesso.
Tutte azioni che eviteranno le definizioni travisate dalla viltà, dall’ipocrisia, dalla pigrizia, e ci esorteranno a non abbandonare mai il campo di battaglia contro i draghi rimasti a impoverire questi ideali eterni. Basterà guardarli fissi negli occhi, far partire un fendente abbattendoli uno a uno, al primo colpo. Ricordando sempre che un cavaliere contemporaneo si distingue per il coraggio e l’abnegazione, sempre in sella, ogni qual volta avverte il dovere di proteggere ciò in cui crede e ciò che è giusto. Chiuso dentro la sua armatura difende e protegge le giuste cause, più che se stesso, sia nelle grandi sia nelle piccole imprese. Non dimenticando mai che quello che conta è l’onore, l’unico titolo veramente nobile da poter trasmettere agli eredi.
Sono molti i film che negli anni si sono ispirati e che hanno raccontato la cavalleria, il suo cammino e i suoi diversi aspetti secolo dopo secolo, tra storia e fantascienza, intrecciando fedeltà, disciplina, valori, coraggio, senso dell’onore, esaltando le gesta e la vita dei cavalieri che le leggende ci hanno tramandato. Potrei citarne almeno dieci, forse più, tutti validi, tutti con un loro perché. Uno su tutti, in particolare. Racconta la vita e le gesta di un grande cavaliere, un vero guerriero che divenne re. Tantissimi i dialoghi e le frasi; una per capire: «Si accostò alle lingue e agli scritti: la poesia del Khitai, la filosofia di Sung. E conobbe anche i piaceri della carne, quando si congiunse con donne della razza migliore. Eppure non tralasciò mai la disciplina dell’acciaio». Appunto, ripartiamo dalla disciplina. Se poi d’acciaio, è meglio per tutti, perché di draghi ne è pieno il mondo, e qualche bella principessa, per fortuna, esiste ancora.
Ascolta l’intervista di Franz Botré su Radio Monte Carlo
