Novembre 2018

Nov 01 2018

Essendo io un artigiano e un bottegaio, Leonardo da Vinci mi ha sempre affascinato e stupito. Così come il Caravaggio, Bruegel, Gutenberg, Wagner, Franklin, Sozzi e… e mi fermo qui, perché se dovessi nominare tutti gli Uomini che ho letto e ammirato… beh, non basterebbe tutta la foliazione di questo numero di Arbiter.

Esempi che ho cercato di capire, qualche volta di studiare, interpretare e seguire (o almeno ho tentato di…) nel corso della mia vita. Personaggi vissuti in spazi, tempi e luoghi diversi, ma tutti uniti in una sintesi universale dal mio concetto delle 3M: mente, mano e materia. Visione della vita che mi appartiene, che sento profondamente mia, che ogni qual volta la percepisco o la vivo, mi cattura, risvegliando anche i criceti cerebrali più pigri e svogliati, incitandoli e incoraggiandoli a riprendere la corsa, come tanti forsennati all’interno della ruota delle meningi, sempre più performanti e veloci, dandosi il cambio, ma senza mai fermare la ruota, per produrre in ogni momento della giornata energia, idee, adrenalina. Quella vera che sa di gioia, di futuro, che giorno dopo giorno plasma la vita verso l’alto. In questo mondo sempre più mediocre e banale che spinge tutti all’egual maniera verso il basso.

Quando penso a Leonardo da Vinci, lo immagino in viaggio in una fredda carrozza tra Firenze e Milano, mentre osserva, analizza e studia le colline, i fiumi, i mari, il cielo e pensa, immagina, prende appunti e poi schizza cose strane, forse senza senso, decine e decine di fogli per inventarsi qualcosa. Immaginare vale più del sapere. è importante essere curiosi, informarsi, saper leggere i segnali deboli che la maggior parte delle persone non coglie. Spesso, l’ispirazione o l’idea ti folgora quando meno te lo aspetti, o mentre stai pensando a tutt’altro. È il concetto di serendipità.

Bisogna osservare e studiare i dettagli che paiono marginali, le sfumature, le ombreggiature, così importanti nella pittura leonardesca. Bisogna saper «abbracciare l’ignoto» sinesteticamente, ovvero essere multisensoriali, captare le sensazioni: creatività vuol dire staccarsi dalla realtà per affrontare l’ignoto. Il maestro toscano lo faceva alla grande, fondendo arte, scienza e tantissime altre discipline. È così che, immaginando, disegnava carri semoventi che scavalcano le colline, traghetti per oltrepassare i fiumi, navi sommerse che studiano gli oceani, elicotteri e uomini che prendono il volo verso il sole per scoprire cosa c’è dopo il cielo. Persino gli alieni ideò. Perché volare è la prima forma di libertà e ardimento dell’essere umano. Lo immagino a cavallo tra Mantova e Venezia, mentre si muove tra palazzi, corti e piazze. Frequenta le stanze di personaggi come Isabella d’Este, e qualche giorno dopo lo puoi incontrare tra le calli veneziane in compagnia del maestro Luca Pacioli, mentre discutono con alcuni squerarioli sulla perfetta costruzione simmetrica e matematica di una gondola.

Lo immagino all’opera nella bottega meneghina o fiorentina, mentre disegna, esegue e segue le opere commissionate da Lodovico il Moro, da Lorenzo il Magnifico, da Cesare Borgia. Lo immagino mentre inizia un lavoro, mentre osserva, scruta sospettoso un artigiano o l’opera, o mentre con rabbia del sapere riprende i suoi stretti collaboratori. Immagino quante volte si sia allontanato o quante volte abbia abbandonato la bottega, per giorni, settimane, mesi, per fare un salto a Urbino, a Trezzo d’Adda o in Francia con l’amico Charles d’Amboise. La domanda viene spontanea: ma chi continuava il suo operato? Chi lo sostituiva? Ci credo che fosse sempre in ritardo con le consegne, era sempre in giro!

Non c’erano treni, navi a motore, aerei, auto, computer, Internet, ma lui sapeva immaginare, era ovunque, aveva già pensato, progettato e costruito tutto 500 anni fa. Leonardo non era solo noto per le sue idee bislacche, per le opere pittoriche, ma anche come sperimentatore, curioso, vivace, con interessi conoscitivi in tutti i campi del sapere. Un vero genio, riuscito sempre a stupirci, creando opere uniche, leggendarie, contorte, misteriose, criticate per secoli. Faceva tanto, forse troppo, e più inventava e faceva, più creava lati oscuri attorno alla sua capacità, mettendo spesso in risalto il suo approccio da dilettante. Condivido il pensiero di Vittorio Sgarbi (che dal 26 ottobre all’aprile 2019 propone una interpretazione letteraria su Leonardo in molte città d’Italia), quando asserisce che il dilettantismo è uno dei tratti caratteristici di Leonardo da Vinci: «Leonardo è genio dell’incompiutezza, maggiormente a suo agio nella dimensione mentale rispetto alla realizzazione pratica delle sue idee».

Eclettico quanto basta, tanto che nelle lettere d’intenti amava presentarsi alle varie corti dei signori d’Europa come giocoliere, spadaccino, funambolo, giullare, cavallerizzo, ingegnere, architetto. Poi diceva che sapeva dipingere mediamente o conosceva l’arte bellica. Uomo totale dell’Umanesimo in possesso di facoltà e conoscenze divine, Leonardo era vegetariano: soleva aprire le gabbiette degli animali al mercato per liberarli. Aveva addirittura lavorato in due ristoranti a Firenze, in uno dei quali insieme al Botticelli, che gli disegnò l’insegna. Pare che, per incrementare la clientela, si fosse inventato anche una sorta di finger food ante litteram. Era amante della postura, tanto che sviluppò delle proprie tecniche di allenamento della colonna vertebrale per potenziare le prestazioni del bioritmo, anticipando di alcuni secoli, per esempio, il metodo Alexander. Nel 1500 scrisse: «Anche l’uccellino che si pone sul ramo causa un movimento in causa-effetto con l’Universo». La celebre frase di Edward Lorenz sull’«effetto farfalla» è del 1963. Anno in cui vidi per la prima volta un’opera di Leonardo: facevo la terza elementare e con tutta la classe andammo in religioso silenzio a vedere il famoso Cenacolo. Al rientro, compito in classe: ci diedero come prova di attenzione e osservazione l’incarico di ridisegnarlo alla cieca, così come l’avevamo visto, come lo ricordavamo. Fu interessante vedere come 31 bambini di otto anni interpretarono il dipinto murale cui Leonardo dedicò tre anni della sua vita, sia nelle forme, sia nei colori e nei particolari. La maggior parte dei compiti furono più che positivi, era piaciuto, tutti avevano osservato ed erano stati ben attenti alla lunga spiegazione. Presi un bell’8 nel disegno e 10 nel commento. Fu amore a prima vista, Leonardo cominciò subito a piacermi.

Negli anni ho avuto la fortuna di vedere spesso le sue opere, in varie città europee. L’ennesimo contatto con una sua opera, il Ritratto di musico, pochi mesi fa con due amici a me molto cari, l’inquieto Stefano Ricci e il Tenti. Ad accompagnarci e spiegarci la vita di ogni opera, nelle varie sale della Veneranda Biblioteca Ambrosiana un profondo e sapiente conoscitore d’eccezione: monsignor Alberto Rocca. Un luogo unico, non conosciuto e seguito con distrazione da molti milanesi. Nel fine settimana avrò un’altra splendida occasione, sempre grazie al mitico Stefano: quella di incontrare le opere di Leonardo da Vinci raccontate da un grande personaggio, Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi. Perché è proprio Firenze, non poteva essere altrimenti, ragionandoci bene, la città che apre le celebrazioni del 500o anniversario dalla morte di Leonardo. Nel 2019 sarà un tema su cui si focalizzerà l’attenzione del mondo della cultura e della scienza. Firenze apre questo ciclo di omaggi al Genio sottolineando, attraverso una coltissima mostra alle Gallerie degli Uffizi, quel «legame speciale» che unisce la città del Giglio a uno dei suoi figliuoli più celebri. Vinci dista da piazza della Signoria all’incirca 50 chilometri; a Firenze Leonardo ha trascorso la sua giovinezza a bottega (rieccola, quella traccia artigiana del «saper fare» che riemerge in ogni dove), imparando le basi della pittura e della scultura, e sempre a Firenze è tornato nella maturità, lasciando altre importanti tracce della sua inarrivabile genialità.

Una battaglia, quella per difendere e valorizzare i mestieri d’arte, che noi portiamo avanti da nove anni insieme alla Fondazione Cologni. Non solo: Firenze, per secoli, è stata la città dove l’eccellenza e la genialità dei bravi artigiani hanno posto le basi di quello che poi è diventato il «made in Italy» che al mondo tanto piace ancora oggi. Ci voleva un direttore di museo tedesco, Herr Schmidt, per esaltare questo valore e ricucire questo rapporto tra Firenze e Leonardo. Attraverso il restauro dell’Adorazione dei Magi prima, realizzato dai maestri artigiani dell’Opificio delle pietre dure, un’eccellenza mondiale, quindi con l’allestimento di una sala degli Uffizi che ha raccolto le tre opere di Leonardo presenti nel museo (l’Adorazione, l’Annunciazione e il Battesimo di Cristo, quest’ultimo completamento della tavola del Verrocchio), e ora con la mostra dal titolo «L’acqua microscopio della natura». L’elemento liquido era centrale per Leonardo, in base al principio del movimento: l’acqua, con il suo fluire, rispecchia al meglio la concezione dinamica leonardesca secondo la quale da Dio, e poi a scorrere in tutta la natura, ogni cosa è in perenne movimento. L’acqua, fonte di vita, è il veicolo del movimento cosmico universale. In mostra si possono ammirare il Codice Leicester di Leonardo, celebre manoscritto oggi di proprietà di Bill Gates, e altri importanti fogli leonardeschi, tra i quali quattro provenienti dal Codice Atlantico, il codice «per eccellenza», eccezionalmente prestati dalla Biblioteca Ambrosiana di Milano grazie all’impegno appassionato di Stefano, Il Ricci, cacciatore fiorentino e mecenate rinascimentale.

[adrotate banner="7"]
Editoriale
Iscriviti

Newsletter

Entra nel mondo di Arbiter: iscriviti alla nostra newsletter per restare sempre aggiornato e ricevere i contenuti in anteprima.