Non so voi, ma personalmente non accetto e non sopporto più questa società che stanno tentando di cucirmi addosso. Detesto essere vestito da altri, già mi ribellavo da piccolo con mia madre, pensate oggi, sessant’anni dopo. La stoffa, il sarto e la foggia voglio scegliermeli e decidere di persona. Tentano altresì di convincermi e farmi credere, come fossi uno dei tanti minchioni (vedi la Treccani e lo Zingarelli), che solo vivendo sottomessi all’imperante pensiero dell’arcobaleno mondiale e nazionale, si possa finalmente vivere felici e contenti, ritrovando la verità di vita. Quindi basta, smettiamola di pensare e sostenere i valori cristiani, quelli della famiglia, della patria, del lavoro, della meritocrazia della competenza, basta. Sono tutte cose obsolete. Smettiamola di leggere e rileggere la storia, perché non c’è niente da capire né da imparare dalla nostra storia, perché la storia oggi siamo noi. Perché non abbiamo ancora capito che oggi sono nati tutti imparati, tuttologi, professori. Quella è tutta roba vecchia, e come sostiene la Signora Monica Cirinnà, alla fine faremmo tutti «una vita de merda». Quindi distruggiamo tutto. Allora sì che saremo tutti uguali e il mondo sorriderà, e diventerà più bello, emancipato, pulito e votato al progressismo perenne. Alla fine ha vinto la dittatura della mediocrazia, almeno per ora. Beh io non ci sto.
È in questi momenti che ritorna in me lo spirito del ribelle. Quando ero in collegio, fu proprio il vecchio saggio Don Antonio Caneva a giudicarmi spesso un ribelle. All’epoca non lo percepivo né lo riscontravo in me, ma con il passare del tempo devo ammettere che aveva ragione. Accade ogni qual volta che mi impongono di accettare e sottomettermi a concetti e pensieri ideologici anti liberali dettati da questo dilagante pseudo illuminismo radical-chic del «siamo tutti uguali» che ha distrutto l’etica del merito, creando una società potata come una siepe che determina il confine del pensiero liberale. È il destino dell’abuso e del fraintendimento della democrazia. Tutto questo lo aveva già intuito, previsto e scritto più di 150 anni fa Henri-Frédéric Amiel. Professore di letteratura francese, di estetica e di filosofia, nella sua opera il Journal intime, composta da 12 volumi, per quasi 17mila pagine, analizza e critica la società del suo tempo. L’opera è da non perdere, la si può trovare in francese e inglese, o nell’edizione italiana, l’ultima è del 1967 ed è possibile leggerla online, Frammenti di un giornale intimo (Utet, a cura di Cristina Baseggio). Amiel va oltre, con una lucida e razionale analisi scava e porta in superficie le piaghe e i tarli che stanno cominciando a contaminare ed erodere l’umanità, ormai incammino verso le magnifiche sorti progressiste. Prima tra tutte la pretesa d’uguaglianza degli uomini come appiattimento verso il basso, con la conseguente morte della meritocrazia: «Il diritto pubblico fondato sull’uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conseguenze, perché non riconosce la disuguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell’appiattimento. L’adorazione delle apparenze si paga». Segue scrivendo: «Le masse saranno sempre al di sotto della media. La maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà e la democrazia arriverà all’assurdo, rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci. Sarà la punizione del principio astratto dell’uguaglianza, che dispensa l’ignorante dall’istruirsi, l’imbecille dal giudicarsi, il bambino dall’essere uomo e il delinquente dal correggersi». Pensate alla Brexit, pensate all’Europa, pensate all’Italia(!) pensate al mondo? I suoi aforismi fanno a pezzi il pensiero ipocrita del politically correct fenomeno sempre più dilagante che sta distruggendo 2mila anni di storia dell’uomo. Il Journal Intime di Amiel non si può non avere in libreria. Così come andrebbe riletto con religiosa attenzione La Voce di Giuseppe Prezzolini, uno dei più lucidi e feroci intellettuali del ’900. Sull’argomento merita la nostra libreria anche il pamphlet dell’amico Nicola Porro, anche se datato, La disuguaglianza fa bene è un libro che tutti dovrebbero leggere, soprattutto i giovani che frequentano ancora i licei.
Dunque, alla mia identità e personalità io non rinuncio. L’omologazione non mi appartiene. In questa società mi rendo conto sempre più spesso che, purtroppo, la ricerca della propria libertà, ma soprattutto, difenderla e farla valere è un’impresa da eroi. Mi sento come se fossi uno degli Argonauti, impegnato, proprio come questi circa 50 eroi della mitologia greca, in un viaggio avventuroso alla ricerca del vello d’oro, per ricucire, con i suoi fili, una società ormai sempre più alla deriva. Oggi sarebbero perfetti ambasciatori di quel coraggio ormai annientato, un valore che deve essere ricercato. Per questo la copertina di Arbiter ritrae moderni Argonauti, cui Gabriele Luciani ha dato volti e corpi di persone reali, per far sentire quegli eroi più vicini a noi. E tornare a ricucirci addosso abiti scelti da noi, nel vello d’oro.