Sin da piccolo, e durante l’adolescenza, mi hanno insegnato ed educato a vivere e rispettare madre natura. Avevo due zii splendidi, Arnaldo e Giorgio, per mille modi diversi tra loro: uno interista, l’altro del Torino; il primo 1 metro e 70 per 65 chili, il secondo 1 e 90 per 100 chili. Entrambi gran lavoratori e grandi appassionati di pesca, di funghi e per alcuni anni modesti cacciatori di pianura. Grazie a loro ho imparato a stare a contatto con la natura, sotto il sole, sotto l’acqua; a non perdermi nei boschi, riconoscendo senza bussola il nord, il sud, l’ovest, l’est, semplicemente osservando il sole oppure aiutandomi con l’orologio e osservando i tronchi, i muschi, le piante; a nutrirmi con quello che trovavo, tra ottime e gustose radici o riconoscendo 13 varietà di funghi; a trovare i sentieri d’acqua nascosti odorando l’aria e palpando la terra. E poi pescare le trote mentre stai cercando i funghi e viceversa. Tante sono le esperienze vissute grazie a loro. Così come tanti sono i chilometri fatti in passeggiata sul «K2», i sentieri di montagna nei periodi della colonia a Piancavallo, nel Verbano. Molte le albe vissute e godute tra la nebbia, quella dei canneti, dei laghi e lungo le rive dei fiumi. La mia fusione perfetta con la natura cominciò però nel ’75, durante il servizio militare. Per i primi otto mesi, tutti i giorni, dalle 04:30 del mattino ero immerso nella flora e nella fauna marina o montana, boschiva o sabbiosa. Spesso, e per fortuna, anche in quella femminile. L’apoteosi fu nei 12 mesi successivi quando addestravo e insegnavo alle varie squadre d’assalto i codici di abbigliamento: il famoso mimetismo strategico, in pianura o in palude, in montagna o in mare. Venti mesi e venti anni indimenticabili, bellissimi, vissuti tutti d’un fiato. Anni che hanno fatto la differenza. Anni in cui la mia vita era divisa tra la subacquea, le corse e la professione: passavo più tempo in pista e sott’acqua che a casa.
Nel ’77 scoppiò il grande amore per il mare: immersioni nel Mar Rosso, allora per pochi, alle giovani Maldive, a Lampedusa (fantastica la secca di Levante!), Favignana, Ustica, Lavezzi, Gallinara, Bergeggi, Capo Caccia (imperdibile la grotta di Nereo), nei laghi di montagna su verso il Bernina al lago Palù come nella bellissima Val Verzasca. Esaltante fu poi l’esperienza del parco di Ustica dove nell’81, come incaricato del direttore di Gente Viaggi, con grande orgoglio e piacere dovetti fare immersioni, passeggiate e riunioni con l’allora ministro della Marina mercantile Calogero Mannino, il professore Giuseppe Giaccone della facoltà di Biologia marina di Palermo, Nuccio Messina dell’Ente turismo palermitano e il presidente del Wwf Fulco Pratesi per individuare e organizzare la zona del futuro parco. Praticamente un master in biologia, non solo marina. Sempre esaltante fu seguire le competizioni automobilistiche, dal mitico parco di Monza e il suo autodromo alla Targa Florio, da Le Mans al vecchio Mugello. Giorni e giorni immerso nella natura tra mille colori, tra uomini veri, tutti maschi alfa. Uno su tutti, il «ragionier» Romolo Tavoni. Per me fu un padre, da lui ho appreso e affinato l’arte della giustizia sportiva. Un maestro, un amico, con cui ho condiviso giorni e giorni, gioie e dolori. Passò da segretario di Enzo Ferrari a direttore sportivo della scuderia per 11 anni; per contro io ho avuto l’onore di servirlo come assistente per quattro Gran Premi di Italia, a Monza. Lui da poche settimane non c’è più, ma vivrà in eterno in me e nelle persone che amano l’automobilismo, quello vero, fatto da uomini. Colori, profumi, sensazioni che ho ritrovato nell’82 leggendo Leonardo. L’uomo e la natura di Mario de Micheli, edito da Feltrinelli. Pensieri che mi appartengono e che ancora oggi appagano la mente, il cuore e lo spirito. Le sento quando percorro i sentieri dell’Alta Badia cantando le canzoni degli alpini della Prima guerra mondiale, o quando, durante le varie immersioni in tutti i mari del mondo, canticchio l’inno dei sommergibilisti o quello della Marina. Sono immagini e musiche del cuore. Ogni volta che viaggio, in auto, in treno, in nave, oggi come allora ho lo sguardo curioso e attento, pronto a carpire immagini della natura, luoghi da ammirare. Immediatamente e inevitabilmente la mente si apre e il jukebox dentro di me sceglie e abbina una canzone a una immagine; da What a Wonderful World interpretata da Louis Armstrong all’Adagio for Strings di Samuel Barber. Una fusione e un insieme di migliaia e migliaia di immagini e musiche archiviate nel cuore e nel cervello, selezionate da oltre cinquant’anni, che vivono e vivranno per sempre in me. Indimenticabili. Roba da magone, da brividi. Emozioni pure, le stesse che provo ogni qual volta ascolto l’inno nazionale. Però, mi accade spesso di ripassare da quei luoghi e non ritrovarmi più. Le immagini sono ora diventate opache, sfocate, mosse, prive di vita, di colori. Sono immagini viste con grandangoli esasperati, che hanno deformato e deturpato l’armonia della natura, falsificando la sua storia, la sua immagine, la sua vita. Osservando certi scempi e sfregi fatti a madre natura, anche la musica è cambiata. È allora che sento e rivedo il catastrofico video di Michael Jackson con la sua bella ed emozionante Earth Song. Eppure tutto era prevedibile. Fu infatti un altro americano, George Perkins Marsh, del Vermont anziché dell’Indiana come la popstar, ambasciatore degli Stati Uniti d’America in Italia, a lanciare nel 1864 il grande allarme con il suo libro Man, the disturber of nature’s harmonies (L’uomo, disturbatore delle armonie della natura), titolo non accolto dall’editore, che modificò in Man and nature, or physical geography as modified by human action. In 600 pagine raccontò, spiegò e illustrò al mondo intero le trasformazioni operate dall’uomo sull’ambiente naturale. Marsh voleva far comprendere a tutti i lettori che noi stiamo rischiando di mettere a repentaglio la nostra stessa sopravvivenza su questo pianeta: «L’uomo ha troppo dimenticato che la terra gli è stata concessa soltanto perché egli ne tragga frutto ma non la esaurisca», scrive. Era il 1864. George Perkins Marsh iniziò a parlare di ecologia ancora prima che nel 1866 Ernst Haeckel coniasse il termine. Molto prima che il regista Nathan Grossman dedicasse un documentario alla Signorina Greta Thunberg. Marsh era «italiano», amava l’Italia, visse a Torino, a Firenze, a Roma e a Vallombrosa, l’ultima sua dimora.
