Un’isola di coerenza

C armelo Crimi e il figlio Mauro tengono viva una tradizione basata sulle tre regole base dell’abito: linea, comodità, rifinitura

Fin dal XIX secolo la sartoria siciliana ha rappresentato un bacino di eccellenze, dal quale emergevano fuoriclasse formatisi negli anni 30 come La Parola a Palermo o Pirri a Messina. Nonostante la limpida vocazione, alimentata da una clientela colta ed esigente, non si può dire che sia esistita una scuola siciliana contraddistinta da un’impronta univoca. Le botteghe si dividevano in filolondinesi e filonapoletane.

Lo stile inglese era conosciuto in modo diretto e approfondito sia grazie alla quantità di gentiluomini che vestivano a Londra, come Ignazio Florio e famiglia, sia per diretta esperienza. Molti artigiani, tra cui lo stesso La Parola, si erano infatti perfezionati in sartorie inglesi e ne avevano importato alcuni caratteri, in particolare la tracciatura decisa di linee e volumi. Altrettanti si erano perfezionati a Napoli, importando morbidezze e sfumature. Se c’è un tratto comune a entrambe, è nell’aver sempre scartato gli eccessi «regionali» sia di una scuola sia dell’altra.

A grandi linee si può dire che la Sicilia occidentale sia stata a maggioranza inglese e quella orientale partenopea. Entrambe convivevano nella stessa città e talvolta si fondevano nella stessa mano. Purtroppo la sartoria siciliana non si è più risollevata dalla crisi che colpì il settore negli anni 70. Quando la domanda di abiti su misura ripartì negli anni 90, la lunga siccità aveva già fatto chiudere le piccole botteghe e spinto i più forti a migrare verso Roma, Milano o Torino. Molta manodopera specializzata si era ormai riconvertita o aveva lasciato l’isola, ma soprattutto la clientela non era più la stessa. Buona parte di quella di qualità si era trasferita, o aveva preso a servirsi altrove. In questo contesto c’è chi ha saputo resistere al vento contrario e rimanere vigile, in attesa che girasse di poppa. Tra costoro spicca Carmelo Crimi.

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