Cavillo di razza

S messi i panni dell’avvocato, Valentino Ricci ha convertito la sua vita e il suo mestiere spinto dalla passione per il ben vestire. Trasformandola in impresa: Sciamàt

Molto prima di Instagram e della proliferazione dei blog, il sito noveporte.it fu a lungo l’unico portale interattivo a interessarsi del mondo maschile. Appassionati e giornalisti vi si collegavano da oltre 100 Paesi, dandomi una visibilità non inferiore a quella dei miei primi articoli su Monsieur, che sin dall’inizio ebbe un peso internazionale. Per un certo periodo tutto ciò fece di me un punto di riferimento, sebbene all’interno di una comunità piccolissima se paragonata ai numeri attualmente gestiti coi social. Tra coloro che mi ritennero un interlocutore cui presentare le proprie idee si distaccò la figura di Valentino Ricci, che come me faceva l’avvocato. Mi contattò non meno di dieci anni fa, e dopo qualche scambio di convenevoli ci facemmo reciprocamente visita per confrontarci da vicino.

Il doppiopetto con cui lo vidi la prima volta parlò prima di lui, rivelando un perfetto controllo dei fondamentali. Tutto vi appariva chiaro, compresa la sua idea del ruolo dell’abbigliamento nel millennio appena iniziato. Sostenuto da una vivace ambizione, animato dall’amore per il bel vestire, consapevole che la vanità è tra le molle che muovono il mondo e convinto di poter offrire gli strumenti espressivi a chi cercava una nuova forma di compostezza virile, aveva già messo su una sartoria nella nativa Bitonto. Il suo nome, Sciamàt, significa scacco matto, ma la traduzione letterale è: il re è morto. Mi diede in merito spiegazioni che non ricordo, forse per averle trovate artificiose. Mi piace credere che ciò che volesse veramente dire con quell’enigmatica parola fosse da un lato che le sue mosse fossero in grado di portarlo all’affermazione, dall’altro che una fase storica era tramontata e con essa i vecchi miti.

Come tutti coloro che valgono qualcosa voleva cambiare il mondo, e come molti di quanti ci provano seriamente c’è in parte riuscito. Sciamàt può non piacere, ma resta il fatto che alcune sue soluzioni hanno precorso, se non influenzato, molti piccoli e grandi nomi del settore. Arso com’è dal sacro fuoco di chi è convinto della propria visione, il primo carattere di Valentino Ricci è nell’averlo un carattere. Intenzionato a rispettare i suoi principi cercando di dare loro una forma, non è mai sceso a compromessi su nessun piano. Nei primi tempi me lo ricordo tormentato dalla difficoltà di farsi capire dai sarti, di cui aveva bisogno per la realizzazione dei capi che aveva in mente. Il rapporto restava sempre conflittuale, perché troppo spesso ciò che per lui era importante per loro non lo era, e viceversa. Decise allora di studiare il taglio, e appena ne ebbe il dominio si affrancò dalla necessità di una direzione tecnica.

La struttura che ha messo in piedi prevede una suddivisione dei compiti, che ciascuno svolge sapendo bene cosa fare e come la sua opera si iscriva nel progetto complessivo. Insomma è una squadra guidata da un allenatore, non un plotone agli ordini di un sergente. Senza più sarti, Sciamàt resta un fior di sartoria. Tutti i capi che portano la sua etichetta vengono fatti internamente e con identica metodologia, sia quelli creati per il cliente singolo sia quelli cuciti in piccole serie destinate a prestigiose vetrine.

Il team Sciamàt in una foto di famiglia. A destra, Valentino Ricci, solo indossandolo, dimostra come un abito blu rigoroso, per di più con un gilet sciallato e accollato, appaia più moderno e credibile di tanti esperimenti avanguardisti privi di una vera idea.

È ovvio che il singolo cliente che viene di persona a scegliersi il modello ed effettuare le misure finirà per richiedere interventi particolari ma, a parte questi, la procedura non cambia. In bottega ci sono solo due macchine per le cuciture lineari che le richiedono, tutto il resto è fatto a mano. Compresa la puntigliatura degli interni, quando ci sono. Ricci è infatti specializzato nella costruzione di giacche a fazzoletto, fatte solo di tessuto e un po’ di fodera di manica.

Si tratta di un capo molto dinamico, in quanto flessibile materialmente e stilisticamente. Può essere tolto e messo da qualsiasi parte, in qualsiasi modo, senza soffrirne. Può essere indossato in modo informale, ma basta aggiungere una cravatta e abbottonarlo perché assuma un aspetto impeccabile. Come si vede in una delle immagini, per dare aplomb a una giacca totalmente invertebrata Ricci prolunga le paramonture fino a che diventino pari ai davanti, che in tal modo guadagnano l’indipendenza che occorre loro per scivolare lungo linee naturali senza appiccicarsi al corpo. Con gli interni o meno, da giorno o da sera, estivi o invernali, ciò che conta è che gli abiti di Sciamàt seguono un filo stilistico di estrema coerenza. I tratti distintivi, che in genere sono limitati a poche zone se non a singoli dettagli, in questo caso sono in quantità debordante. 

Spalla piccola, nervosa e insellata; giro alto e «a palla»; manica tornita, indipendente nei movimenti e con fondo di circa 13,5 cm; accollatura che risale a bottiglia, grazie alla riduzione della cuspide dei quarti posteriori; attaccatura della manica che si erge come sostenuta da un rollino (mentre in realtà è sostenuta dagli stessi rimessi della cucitura tra spalla e manica); taglio del monopetto a due bottoni più uno, non a tre meno uno (quello che si suol dire a tre bottoni stirato a due); doppiopetto abbottonabile al primo o secondo ordine di bottoni; pantaloni che si appoggiano sulla vita naturale; spacchi posteriori tagliati sino alla vita; tasche piuttosto alte, in genere a 27 centimetri dal fondo; bottone attivo che in genere lascia al di sotto un po’ meno giacca di quanta ce ne sia al di sopra, dando solennità al torace; cran molto alto, con un angolo perfettamente quadro la cui bisettrice guarda sempre ben prima della spalla; bottoni mai sotto le tasche; doppipetti con bottoniera ampia, tendenzialmente spaziata di 16 cm in orizzontale e 14 in verticale; evidente favore per i grandi quadri e gilet anche a due petti; cappotti con baveri ampi e lunghissimi; taschini inclinati e sempre alti, senza timore che vengano parzialmente coperti dai generosi baveri; ampio uso di tessuti di carattere, senza alcuna servitù nei confronti della leggerezza a tutti i costi. 

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