L’uomo sta alla natura come la natura sta all’arte», scrive Richard Wagner all’inizio de L’Opera d’arte dell’avvenire. E prosegue: «La natura genera e modella senza intenzione alcuna e involontariamente, secondo il bisogno, il che significa necessariamente. Necessità può definirsi anche la forza che genera e modella la vita umana. Solo quanto è privo di intenzione e involontario nasce per un bisogno reale; e solo nel bisogno sta la ragione di vita». E se la necessità è il carburante del grande motore, oggi questa necessità è diventata affanno. La natura soffre, ma anche l’uomo, di una crisi spirituale e fisica mai vista, anche se non lo ammette.

Gli studi di Leonardo da Vinci sui vasi sanguigni del fegato (a sinistra) evidenziano la somiglianza con radici e rami degli alberi (sopra). Le ramificazioni si ritrovano anche nei bronchi, nei fulmini o nei delta dei fiumi.
Il nostro pianeta è stato sfruttato e inquinato in tutti i modi possibili e più assurdi. La natura è creatrice essa stessa di arte, ed è in pericolo. Il grande profeta europeo Wagner ci ricorda che ne siamo parte, come tanti altri poeti romantici hanno fatto. Scrive Friedrich Schelling in Esposizione del mio sistema filosofico: «Come la pianta si chiude nel fiore, così tutta la terra si chiude nel cervello dell’uomo, che è il sommo fiore di tutta la metamorfosi organica». D’altronde il simbolo stesso del Romanticismo è il Blaue Blume, il fiore azzurro, il nontiscordardimè di Novalis. Il giovane filosofo scrive nell’Heinrich von Ofterdingen, manifesto dello Sturm und Drang: «Ma, prima ancora, ditemi se vi piace il mio romitaggio e il mio giardino, poiché questi fiori sono i miei amici. Il mio cuore è in questo giardino. Io sono qui in mezzo ai miei figliuoli, e mi figuro quale un vecchio albero dalle cui radici questa balda gioventù sia germogliata». Ancora: «I vegetali sono per così dire il più immediato linguaggio del suolo. Ogni nuova foglia, ogni fantastico fiore è un qualche mistero che si esprime e che, per non potersi muovere e non poter formare parola dal troppo amore e dalla troppa gioia, diventa una placida e muta pianta. Si vorrebbe, segregati dal mondo, cacciare mani e piedi nella terra, per mettere radici e non lasciare mai quella felice vicinanza». L’antroposofo Rudolf Steiner afferma addirittura che alcuni nostri organi derivano dal regno vegetale. Corifeo della Naturphilosophie fu Goethe, il quale pubblicò anche numerose opere scientifiche quali La metamorfosi delle piante o La forma delle nuvole. Grande esponente ne fu Nietzsche. Lapidario: «Fratelli, rimanete fedeli alla terra».

Un disegno di Manfred Schmidt pubblicato su «Signal» all’inizio degli anni 40. L’obiettivo del servizio, che era corredato da un testo in italiano e in tedesco, era spiegare al lettore l’importanza di prevenire l’inaridimento della terra preservando le linee curve.
Una visione panica del mondo, dove l’artista è anche naturalista, botanico, scienziato, filosofo, innestatasi sul tronco del Rinascimento, a sua volta riemersione dalle nebbie cristiane dell’uomo greco. Ne è il prototipo Leonardo da Vinci, affascinato dal meraviglioso arcano della natura: i boccoli e le barbe che dipinge sono come i vortici dell’acqua o i rami degli alberi, le colonne che progetta come le gambe di un uomo. Tutto fa parte dello stesso armonico respiro. Prova ne siano i bellissimi frattali della natura. In primis la spirale: pensiamo al nautilus, ai mulinelli, alle trombe d’aria, ai cicloni, al Dna, alla Via Lattea ma anche agli alberi. Infatti l’albero cresce avvolgendosi a spirale, quindi non è che un annidamento di alberi più giovani cresciuti anno dopo anno, e la linfa corre nei tronchi seguendo un flusso rotatorio che nei germogli è in senso opposto a quello delle radici. Se uniamo questi due vortici otteniamo le spirali sovrapposte che ritroviamo nelle foglie, nei petali dei fiori, nei capolini dei girasoli, nelle pigne, nell’ananas.

Un disegno di Manfred Schmidt pubblicato su «Signal» all’inizio degli anni 40. L’obiettivo del servizio, che era corredato da un testo in italiano e in tedesco, era spiegare al lettore l’importanza di prevenire l’inaridimento della terra preservando le linee curve e la vegetazione.
Viene spontaneo il parallelo con Pier Luigi Ighina, scienziato autodidatta nonché giovane assistente di Guglielmo Marconi. In base ai suoi studi, prosecuzione di quelli del grande inventore, tutta la vita sulla Terra è basata sul magnetismo dato dal ritmo Sole-Terra: il sole pulsando emette raggi di energia di colore giallo che si muovono a spirale destrorsa, che la Terra assorbe e restituisce con energia che si muove a spirale sinistrorsa di colore blu. Ecco perché le foglie sono verdi. Anche il nostro cuore pulsa allo stesso modo. Ighina inventò su questa base una serie di macchine in grado di ottenere i risultati più sorprendenti: dalla lampadina che si accende infilandola nel tronco di un albero sfruttando la sua potentissima energia, analogamente a quanto faceva Nikola Tesla, all’elica per far piovere o allontanare le nubi. Non ha mai voluto brevettare nulla perché le sue scoperte dovevano essere patrimonio di tutti, ma è sempre stato rifiutato o ritenuto un pazzo. In Africa lo hanno cacciato, dicendogli che sulla siccità ci si guadagna. Stessa sorte toccò ad Angelo Belloni, inventore e ufficiale di Marina che ideò, per esempio, una macchina per ricavare energia dal moto ondoso marino, mai utilizzata da nessuno.
Per tornare ai modelli naturali, ci sono le ramificazioni, che troviamo appunto nei rami delle piante, nei delta dei fiumi, nei nostri polmoni, nei vasi sanguigni e linfatici, nei fulmini, nella placenta; i toroidi, dalla mela all’arancia e ai campi elettromagnetici; gli esagoni, come le celle dell’alveare; le onde, dalle acquatiche alle acustiche. La natura naturans di Giordano Bruno è la prima artista e si guarda bene dal tirar righe dritte come fa l’uomo. A tal proposito, citiamo un servizio della rivista Signal d’inizio anni 40: una doppia pagina con due illustrazioni, due versioni di uno stesso paesaggio rurale. A sinistra, una landa arida, con strade dritte, rogge dritte, un fiume dalle sponde artificiali dritte, alberi secchi, fabbriche inquinanti, niente boschi, solo qualche sparuto albero o cespuglio, monoculture intensive che sfruttano la terra e la lasciano prive di difese. Insomma, una campagna moderna che tutti riteniamo normale, specialmente nella stuprata Pianura Padana, dove la terra è erosa dal caldo d’estate e dal freddo d’inverno, inondata di fertilizzanti, dipendente dall’irrigazione artificiale, bisognosa di tanto insensato lavoro contadino.
La medesima prospettiva ma fatta di varietà, di fiumi puliti con anse naturali ricche di vegetazione, di boschi, pascoli, strade che seguono l’andatura naturale del terreno, case dall’architettura classica, laghetti. Le vignette spiegavano in modo semplice al grande pubblico la concezione che vigeva allora in Germania dell’ecologia: la visione di geni come Walther Darré, ministro dell’Agricoltura, e Alwin Seifert, procuratore per il Paesaggio. Tutte le infrastrutture umane dovevano rispettare l’«ordine biologico» in un tale modo da far impallidire i moderni movimenti cosiddetti «verdi». Un deturpamento dell’ordine naturale porta infatti a inquinamento, desertificazione, tristezza estetica.