Dal convegno «Sicilia sostenibile per natura» ai migliori assaggi di Grillo e Nero d’Avola, annata 2020
La Sicilia, lo sostengo da tempo, è il posto più esotico del mondo. Più «altra» persino della Cina o dell’Australia, essa abita chi la abita possedendolo di una sensazione eccentrica e adesiva, come quella lasciata dai sogni e acuita, stavolta, anche dalla cornice di questa nostra storia: il «Vigneto Sicilia», 98mila ettari di superficie vitata, la più estesa in Italia. Attualmente, nell’isola vengono coltivate sia uve autoctone (quattordici) che varietà internazionali, spesso in unione tra loro proprio per dare vita a vini godibili, eleganti, affascinanti quanto la terra da cui provengono. Il «Vigneto Sicilia» e i suoi vini sono il risultato perfetto di un vero melting pot tra influenze territoriali e storiche. Influenze che hanno attraversato un’intera regione che da secoli vede il suo vissuto intrecciarsi fittamente con il vino e le tradizioni dietro la sua produzione.
Una eredità che il Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia, fondato nel 2012 per dare una voce concreta a viticoltori, vinificatori e imbottigliatori, ha accolto con una mission ben specifica in nome della promozione della Denominazione di Origine Controllata. L’obiettivo è il rafforzamento dell’identità dei vini siciliani. Il compito che il Consorzio si è assunto è anche quello di comunicare il sistema Sicilia Doc, come produttore di eccellenza di vini contemporanei e con un ottimo rapporto qualità-prezzo.
Un lavoro, quello del Consorzio, che passa fortemente attraverso una visione del «Vigneto Sicilia» come prima area agricola in Italia per produzione biologica. I cardini del sistema vino siciliano sono proprio “sostenibilità” e “rispetto” verso l’ecosistema siciliano e sono proprio questi due principi ad aver guidato il confronto e la collaborazione con Fondazione SOStain Sicilia, il programma di sostenibilità per la vitivinicoltura siciliana, promosso dal Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia e da Assovini Sicilia allo scopo di certificare la sostenibilità del settore vitivinicolo regionale.
Tutto ha inizio nella Sala Basile dove, tra «boiserie rampicanti e «affreschi vintage», Antonio Rallo, presidente del Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia, elogia «Palermo quale focus da cui ripartire», senza contare che, come insiste Laurent Bernard de La Gatinais, presidente Assovini Sicilia, «la Sicilia detiene il vigneto bio più grande d’Italia». Accanto a questi, Alberto Tasca, che della Fondazione SOStain è il presidente, insiste sulla natura olistica – peraltro molto vicino a quella del neurobiologo vegetale Stefano Mancuso – della sostenibilità che, come tale, necessita di tanto ecocentrismo quanto antropocentrismo visto che è l’uomo, e la sua antropocene, a dover cambiare radicalmente. Come? Attraverso un disciplinare che è anche un sistema di governance in grado di trasformare la crisi in opportunità visto che, tra le altre cose, «si lavorando sui vetri siciliani per le bottiglie, in modo da minimizzare la carbon footprint e fare sistema proprio in Sicilia». Molto interessante, ancorché pratico, l’intervento del professor Nicola Francesca di Unipa il quale afferma la necessità di affrontare la sostenibilità da un punto di vista tecnico attraverso pratiche che partono dalla gestione consapevole del vigneto e, passando dal divieto del diserbo chimico, dalla protezione della biodiversità («che è invisibile!», insiste più volte) e dall’utilizzo di materiali eco-compatibili, arriva a limitare il contenuto dei residui nei vini. Infine, a proposito di bottiglie, spunti interessanti provengono da Guido Robustelli, South East Europe Sales Director della multinazionale americana O-I (società americana specializzata in imballaggi) che, dal canto suo, afferma che la chiave sarà di aumentare il contenuto di vetro riciclato in bottiglia fino al 90% e fissare come obiettivo il zero waste oltre, ovviamente, alla riduzione delle emissioni di CO2 grazie a forni oxy-fuel iperinnovativi.
Grillo 2020: gli assaggi migliori
Da un incrocio di Catratto e Zibibbo sperimentato nel 1874 dal Barone Antonio Mendola arriva questo bel vitigno produttivo di cui ad oggi esistono due biotipi – A, più compatto; B, più spargolo, originario di Mothia – famoso per il ph contenuto e un quadro aromatico che varia in funzione degli ambienti: fine e solenne sulle marne agrigentine mentre, dalle sabbie di Mothia, dov’è nato, mutua un profilo più barocco e compiaciuto.
Casa di Grazia Zahara
Perfettamente rifinito l’olfatto, animato da note agrumate, precisissime, di mandarino cinese e minerali di cerino di fiammifero e pietre spezzate, al palato si profila assai penetrante e preciso, mentre il sapiente estratto lo rende ricco di coerenti rimandi retrolfattivi.
Alessandro Di Camporeale Vigna di Mandranova
Una nota inizialmente mandorlata, e di semi di zucca, trasfigura in un bouquet fatto di fiori di glicine spolverati di sale. Al palato è davvero siderale nella freschezza agrumata, sapida e tagliente che magnifica, in via retrolfattiva, un’incontenibile montata floreale.
Firriato Altavilla della Corte
L’agrume qui è giallo di cedro e floreale di magnolia e fiore di limone. Il palato è semplicemente irresistibile, terso e teso, piacevolissimo ancorché minuto e, come detto, nervoso. Lo sviluppo però è crescente, e diventa sempre più persistente.
Gorghi Tondi Coste a Preola
Un Grillo malinconico, ricco di note di fiori pungenti e delicati al contempo. Il profumo fruttato è quello della pesca bianca che pervade anche la bocca, abitata da una sensazione di residuo zuccherino che lo inspessisce e, soprattutto, lo infittisce, allungandone la percezione.
Tenute Orestiadi Grillo
Un profumo di pesca pieno, genuino e croccante, si leva da un palato altrettanto pieno, salato, inspessito da note mandorlate, finemente cesellate anche nelle controparti amare. Intensamente siciliano, la bocca persiste a lungo, pur negli spigoli, molti, che ne restituiscono un profilo ritmato.
Nero d’Avola 2020: gli assaggi migliori
Detto anche, anticamente, Calabrese, si tratta di una varietà antica che, come tale, presenta un gremito numero di varianti. Una varietà vigorosa, caratterizzata da buonissima acidità e presenta sfaccettature differenti a seconda degli ambienti, come la qualità del tannino, mentre la concentrazione degli antociani dipende dalla maturazione degli zuccheri, incentivata dalla presenza, o meno, di acqua nell’acino.
Colomba Bianca Resilience
Ci era piaciuto molto anche il loro Grillo. Qui nel Nero d’Avola spicca la fedeltà a una tavolozza olfattiva in cui si riconosce la viola e un’acidità squisita, incalzante, che profuma di elementi morbidi ma pungenti, di rosa rossa e di ibisco. Al palato è piacevolissimo e lineare, perfettamente risolto.
Feudo Disisa Nero d’Avola
Leggermente speziato, agrumato e aromatico, vanta note di cola e un palato animato da un bel comportamento tattile dove in particolare è il tannino, polveroso e succoso, a rivelarsi provvidenziale.
Montedidio Real Academia
Un vino che appare intensamente genuino e onesto nella sua colorazione scura ma tersa, così come sono, del resto, sia il naso che la bocca. Speziato e slanciato, è da bere senza pensieri, pur nell’imponenza che dimostra.
Salvatore Tamburello 306 N
Dove la N sta per non filtrato, chiarificato né stabilizzato, si tratta di un vino intensamente speziato e tornito di frutta, che al palato vanta una dolcezza onesta ma perfettamente slanciata.
Baglio d’Oro Guardiani di Ceppineri
Un olfatto complesso e sfaccettato, fruttato ma anche dolce di liquirizia e nobile di incenso. Un vino importante e già risolto, semplicemente felice nell’esecuzione.
Leila Salimbeni